RESTAURO DI OPERE ARCHITETTONICHE ARCHEOLOGICHE E STORICO ARTISTICHE DEI COMUNI DEL TERRITORIO PROVINCIALE
COMUNE DI CASTEL SAN PIETRO ROMANO - PROVINCIA DI ROMA
RESTAURO CONSERVATIVO E CONSOLIDAMENTO STATICO DELLA ROCCA DEI COLONNA COSTRUITA NEL 980 D.C.
VINCOLATA AI SENSI DELLA LEGGE 1497/39 - LEGGE 1089/39 - LEGGE 20/6/1909 N. 364 - LEGGE 431/85 PIANI TERRITORIALI PAESISTICI
La storia di Castel San Pietro Romano è stata da sempre legata alle vicende della più famosa Palestrina, l'antica Preneste, della quale fu sempre un valido e possente baluardo difensivo. La Rocca dei Colonna fu fatta costruire nel 980 d.C. dalla Senatrice Stefania sorella di Papa Giovanni XII, sulla sommità del Monte Ginestro a circa 770 metri s.l.m. su di un imponente sperone calcareo. Alla morte di Stefania, il Papato rivendicò il Feudo di Palestrina e per riappropriarsne diede inizio ad una lunga serie di guerre e di assedi alla Rocca, che vide coinvolti, nei secoli successivi, alcuni personaggi delle più famose famiglie nobili dell'epoca, tra cui i Colonna. La Fortezza venne distrutta per due volte e ricostruita definitivamente nel 1448. Dopo diversi passaggi di proprietà, la Rocca è stata acquistata dal Comune di Castel San Pietro Romano nel 1994. I resti della Rocca, così come ci sono pervenuti, consistono in un poderoso perimetro murario a pianta vagamente triangolare, con accenni di torri difensive ai tre vertici. Una di queste, meglio conservata delle altre, si apre in basso con l'unica porta di accesso esistente ed evidenzia ancora i resti di ambienti superiori, probabilmente destinati al corpo di guardia, in quanto comunicanti all'esterno soltanto con feritoie a bocca di lupo con chiare finalità difensive. Da rilevare come la porta citata, disposta ad angolo retto alla sinistra del bastione difensivo, sia da annoverare nel tipo detto "Sceo", avente cioè la caratteristica di costringere l'assalitore che normalmente impugnava l'arma con la destra e lo scudo con la sinistra, ad avvicinarsi offrendo al nemico il fianco indifeso. Dal centro abitato si accedeva alla Rocca tramite un ponte levatoio che permetteve di scavalcare il fossato difensivo perimetrale. Questo, non conduceva direttamente all'interno delle mura, bensì ad un percorso esterno alla base delle stesse, che a sua volta adduceva alla citata porta di accesso. Detto percorso rappresentava un ulteriore livello di sicurezza per gli occupanti della Fortezza, in quanto era a sua volta provvisto di mura difensive rivolte verso valle, con tre bastioni di rinforzo dotati di ambienti per l'alloggiamento del corpo di guardia e feritoie difensive come uniche aperture. In caso di conquista del ponte levatoio da parte degli assalitori, questi, per raggiungere la porta di accesso, erano costretti lungo questo percorso ad esporsi al tiro dei difensori appostati sulla sommità delle mura. Al centro della Rocca è presente un unico volume edificato, il cui ambiente interno è identificabile come il carcere che accolse personaggi come San Bernardo, Vescovo dei Marsi, Corradino di Svevia, Iacopone da Todi, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio . Le mura perimetrali della Fortezza, il cui spessore in elevato supera mediamente il metro, sono costituite da un nucleo compatto di malta e scapoli di pietrame calcareo, con un paramento esterno di analoga composizione, caratterizzato da un discreto ordine nella regolarità della pezzatura, nella tessitura e nella stilatura dei giunti. Sono presenti alcuni inserti di tufo, identificabili soprattutto con parte dei conci relativi agli spigoli dei maschi murari e con le modanature architettoniche esterne delle bocche di lupo. Dette murature, in corrispondenza della base, assumono uno spessore più che doppio a causa di un alto collare di rinforzo che facilmente si giustifica sia come ulteriore opposizione all'assalto nemico, sia come necessità di contenimento della spinta del terrapieno interno, il cui piano di calpestio è ad una quota notevolmente superiore rispetto a quella della base esterna dei muri.
Gli interventi di consolidamento e restauro, sono stati finalizzati alla valorizzazione del monumento e al riuso del manufatto, consentendo il libero accesso al visitatore e la possibilità di ospitare nello spazio interno manifestazioni di carattere culturale. Tutto ciò era impossibile prima dell'intervento a causa delle avanzate condizioni di degrado della struttura stessa e dell'area limitrofa.
Era infatti preclusa ogni possibilità di accesso all'interno della Rocca, in quanto non più esistente l'impalcato ligneo del ponte in muratura che metteva in collegamento il nucleo abitato con la Rocca, permettendo di superare il fossato difensivo perimetrale.
Indagine storico - epigrafica sulle iscrizioni graffite presenti sulle murature della “Prigione” della Rocca dei Colonna.
L’indagine storico epigrafica ha avuto lo scopo di esaminare alcune iscrizioni graffite esistenti sulle murature esistenti all’interno dei resti dell’edificio, conosciuto come “prigione”, posto al centro della Rocca dei Colonna. Questo edificio, di forma pressoché rettangolare, appare oggi troncato, mostrando chiaramente che in origine doveva svilupparsi maggiormente in altezza. Probabilmente era il torrione o “maschio”. Quando la Rocca è stata utilizzata come prigione, per esempio con Iacopone da Todi e Corradino di Svevia ospitava i prigionieri e il quartier generale delle guardie con il comandante della Rocca. L’unico ambiente che si conserva ai nostri giorni, di questo edificio, è accessibile al pian terreno, tramite un’apertura sul lato meridionale che mostra le pareti “slabbrate”. L’interno è di forma pressoché rettangolare e presenta ai quattro angoli delle riseghe (trattasi, probabilmente, del rinforzo dei pilastri). Le pareti sono costruite in pezzame di pietra calcarea, tipica dei monti Prenestini, in blocchetti di forma rettangolare, irregolare, legati con malta di colore grigio. Ogni tanto in modo casuale, sono presenti nella muratura dei mattoni in laterizio, alcuni di colore bruno, altri di color crema. Nell’angolo NordOvest, nella parete Nord e nella parete Est, sono presenti alcuni segni che sono stati incisi sulla superficie dei blocchetti di calcare, sui mattoni in laterizio e finanche sui poco spessi “letti” di calce che legano i blocchetti ed i mattoni. Data la difficoltà di lettura, dovuta al materiale sul quale sono stati incisi i segni, allo stato attuale si possono fare le seguenti considerazioni: 1) I segni sono stati incisi, probabilmente con una punta metallica molto fine, ad esempio una punta di coltello; 2) I segni corrispondono a lettere dell’alfabeto latino e non a lettere dell’alfabeto greco come si era creduto in passato (questo perché la difficile lettura dovuta al supporto di incisione rende difficoltosa l’interpretazione). 3) L’unica frase, allo stato attuale degli studi, che ha un senso compiuto compare in un solo caso completa, in altri casi in modo frammentario, nell’angolo Nord Ovest e nelle pareti Nord ed Est.
PAULO ROCORI PACAT PETIT HIC MMCXIII
Appaiono un nome ed un cognome: PAULO ROCORI, due verbi PACAT e PETIT, un avverbio di luogo HIC, un numerale in caratteri latini MMCXIII. Il significato della frase è alquanto oscuro anche se sembra contenere l’affermazione di un’azione compiuta in un momento preciso tesa al pagamento di qualche cosa.
Paolo Rocori paga (chiede) qui 2113.
Non è specificata l’unità monetaria (scudi, soldi?) sempre che il numero 2113 sia riferito ad una somma da pagare. Di difficile interpretazione anche la sequenza dei due verbi: Pacat – paga e Petit – chiede.
Mentre il loro significato presi singolarmente è chiaro, non è altrettanto chiara la loro posizione nella frase, a meno che non si intenda “pacat petit” come “chiede di pagare” ma questa è solo una possibile interpretazione.
Chiara invece è l’affermazione HIC - qui che indica questo ambiente come luogo preciso dello svolgimento dell’azione.
Per quanto riguarda il nome Paulo Rocori - Paolo Rocori, allo stato attuale delle ricerche non è stato trovato un personaggio corrispondente a questo nome, che abbia lasciato traccia nella storia. Potrebbe trattarsi di un personaggio minore o di una figura locale.
Per quanto riguarda la cifra 2113 se non si riferisce a denaro, potrebbe essere riferita a qualcos’altro, per esempio a dei giorni, giorni di prigionia. Infatti il nome Paolo Rocori è presente su tre delle quattro pareti dell’ambiente ed è ripetuto per ben sei volte sul totale di circa dieci linee graffite presenti.
Sembra dunque che Paolo Rocori sia stato molto tempo in questo ambiente e, come sono soliti fare i prigionieri nelle celle, abbia potuto lasciare il suo nome a futura memoria. Se la cifra di 2113 è corrispondente ai giorni di prigionia scontati, Paolo Rocori scontò qui, nella Rocca di Castel San Pietro Romano, cinque anni, nove mesi e sei giorni di prigionia.
Per quanto riguarda la datazione delle iscrizioni, l’unico elemento a cui si può fare riferimento, anche se con una certa approssimazione, data la mancanza di altri riferimenti probanti, è quello della morfologia delle lettere. Considerate le vicende storiche ed edilizie della Rocca si presuppone una datazione delle iscrizioni in un arco di tempo che va dal XIV al XVI secolo.